Nel precedente articolo legato all’evento Rocket Science SEO, sono emerse alcune questioni che ho reputato di approfondire con degli articoli. La prima di tutte è quella che va in qualche modo a ridefinire un pilastro su cui ho basato da sempre il mio modo di fare SEO. L’evoluzione di Google cambia costantemente le regole del gioco e noi SEO dobbiamo essere sempre pronti e saperci adattare alla meglio ai cambiamenti.
Innanzi tutto guai a parlare di SEO Copywriting, infatti per quanto ci possano essere scuole di pensiero diverse su questo fronte, nell’articolo di oggi andremo a vedere quello che riguarda puramente la scrittura di un articolo, pagina o contenuto che sia per il web. Dunque per chiarezza d’esposizione in questo articolo non parlerò in alcun modo di microdati (vedi schema.org), di tag, di rich snippet vari, di metatag o altre accortezze tecniche puramente SEO, ma andremo ad affrontare un concetto che può essere passato a qualsiasi articolista senza che questo sappia nulla della SEO.
Che cosa si intende con il termine “search intent”?
Come prima cosa andiamo a comprendere a meglio le terminologie, il termine “search intent” indica l’intento di ricerca, ovvero quali sono le intenzioni di un utente nel momento in cui sta effettuando una query sul motore di ricerca.
Vista l’evoluzione dei metodi e degli strumenti con cui un utente si può trovare a formulare una query su motore di ricerca, quest’ultimo non ha più modo di ragionare per “key” ma ha sviluppato un intelligenza (artificiale), in grado di fargli comprendere in qualche modo anche le richieste più strambe o mal scritte, questo grazie a knowledge base formati da concetti (e non parole) composti da entità che il motore è in grado di processare, quasi come se fosse un essere umano.
Quali sono le tipologie di “search intent”?
Gli intenti di ricerca possono essere fondamentalmente di tre tipi:
- Navigational, ovvero navigazionali. L’utente sa bene DOVE vuole andare (intesa come pagina di destinazione nel web e non come luogo fisico), ad esempio ricerce di questo tipo sono branded come “sito ditta tal dei tali”.
- Informational, ovvero informazionali. L’utente vuole CONOSCERE, sta cercando informazioni riguardo un determinato argomento, esempio “Come fare a ….”
- Transactional, ovvero transazionali. L’utente vuole FARE, che sia un acquisto, una prenotazione, un iscrizione, questo tipo di ricerche manifestano l’interesse nel compiere un’azione, esempio “comprare prodotto ABC”
Questa bellissima immagine tratta da un articolo di MOZ ci permette di capire ancora meglio il concetto.
Scrittura di contenuti tradizionale: il “one page, one key”
Solitamente ho sempre basato il mio modo di scrivere i contenuti seguendo la regola “One page, one key”, questa formula praticamente è molto semplice da attuare e la procedura è pressapoco la seguente:
- Facciamo un lavoro di keywords research, ovvero identifichiamo le chiavi per cui vogliamo posizionarci. Un ottimo strumento che ti permette di identificare con precisione diverse parole chiave è senza dubbio SEOZoom, la suite tutta italiana dedicata alla SEO a 360°.
- Creiamo una struttura gerarchica per i contenuti, ovvero l’alberatura composta di categorie, sottocategorie, pagine e articoli.
- Andiamo a sviluppare i contenuti in funzione di quanto abbiamo pianificato precedentemente.
La regola del “one page, one key”, letteralmente “una pagina, una chiave”, sta ad indicare che per ogni parola chiave che abbiamo identificato andremo a sviluppare un contenuto specifico. Questo non significa usare tecniche ormai aborigene come la ripetizione della parola misurandone la sua densità (keyword density), ma focalizzare la stesura solo su quell’argomento.
Faccio un esempio supponiamo di avere un sito in cui offriamo “servizi di marketing”.
Il marketing come tutti sappiamo è una materia molto ampia, possiamo quindi identificare una serie di servizi specifici, come ad esempio: branding, email marketing, pay per click, copywriting e molti altri ancora.
Ora secondo la regola del “one page, one key” ogni servizio avrà la sua pagina ben specifica.
Tutto sommato l’utente potrebbe digitare query scritte male o troppo generiche, ed ecco quindi che ci vengono in aiuto le pagine basate sugli intenti di ricerca.
Scrivere valutando l’intento di ricerca e non la chiave
Quando scriviamo seguendo la logica del “one page, more intent” la questione diventa leggermente più delicata in quanto dovremmo capire quali sono le intenzioni dell’utenza quando digita una determinata query, ad esempio prendiamo una query molto generica come “Tiziano Ferro”, come facciamo a sapere l’utente cosa si aspetta da una ricerca del genere? Le domande che potremmo porci sono: vuole avere informazioni sul cantante, vuole comprare il suo CD, vuole sapere le date dei concerti, vuole andare al suo sito, e come ben capirai le possibilità sono molte.
Ecco quindi che un contenuto che non si limita alla specifica query ma apre le vedute su diversi fattori (semanticamente correlati, sinonimi, contrari), si può definire basato su diverse tipologie di intento e più ne è in grado di soddisfare portando risposte appropriate e più verrà visto di buon occhio dal motore di ricerca, in caso di questo tipo di query “ambigue”.
Quindi per concludere la query è senza ombra di dubbio un punto di partenza importante, e per alcune query la regola “one page, one key” rimane sempre validissima, basti pensare a query su nomi di prodotti specifici per ecommerce, in quel caso il contenuto sarà ovviamente focalizzato sulla chiave, al contrario se la query è ambigua e quindi può racchiudere diverse tipologie di intento di ricerca allora è bene sviluppare un contenuto in grado di soddisfarne il più possibile, e che poi magari vada a focalizzare ogni singolo intento su apposite pagine ben specifiche.
Queste sono ovviamente riflessioni personali, nulla di dogmatico o assoluto, tutto completamente relativo e personale, ogni tipo di spunto, domanda, integrazione, commento è sempre il benvenuto.